Un giornalista in genere non si ferma mai alla notizia. Cerca di capire e di sapere di più. Coglie le sfumature e lavora sui dettagli. E infatti. Ieri sera dopo gli arresti di Latina Marco Omizzolo – sociologo, ricercatore Eurispes e collaboratore delle università di Venezia e Pisa, che ha permesso con il suo lavoro che tutto ciò accadesse – ha scritto su Facebook due parole secche: notte in albergo.

In tanti lo hanno virtualmente accarezzato, baciato e incoraggiato perché si è capito che alludeva alla sua protezione dalle minacce. Gli ho scritto anch’io, congratulandomi con lui. Ma non mi bastava. E quindi stamattina ci siamo fatti una lunga chiacchierata al telefono. “Come stai?”, gli ho chiesto. Ovviamente felice per il risultato di un lavoro che parte da lontano, da molto lontano. È grazie alle sue ricerche, infatti, e al suo coraggio se si è potuto procedere agli arresti di ieri.

Lui vive a Sabaudia. E Sabaudia, San Felice, Formia, tutte le altre città della fascia costiera, Lepini compresi, si affidano da anni per la coltivazione dei campi agli indiani. Ai tantissimi indiani che vivono qui. Quanti sono? Difficile dirlo. C’è chi dice 9mila e chi addirittura 25mila. Ma quello che è certo è che il loro lavoro assicura frutta e verdura a tutti i mercati d’Italia. Detto così sembra una cosa del tutto normale, se non fosse che questa gente viene sfruttata in maniera indecorosa.

Per arrivare agli arresti di ieri c’è stato un impegno della Questura e della Procura di Latina lungo 15 anni. C’è stato un grande lavoro di ricerca e tante minacce ai danni di chi se ne è occupato. Di Marco Omizzolo soprattutto, che per fare la sua tesi di dottorato, anni fa, decise di conoscere e studiare la folta comunità indiana, che a Sabaudia vive prevalentemente in un residence di Bella Farnia, un tempo ambito centro turistico. Li frequenta da anni e ha guadagnato la loro fiducia. Fu il primo italiano ad occuparsi di loro e ad aiutarli. Una persona sicura su cui fare affidamento per tutto.

Marco, lo abbiamo detto, è un ricercatore: quando per conoscere meglio questa realtà decise di vivere la loro vita sotto copertura, non esitarono ad aiutarlo. Per tre mesi Omizzolo ha fatto il bracciante agricolo. La mattina lasciava la macchina a Bella Farnia e poi raggiungeva i campi in bicicletta. Come loro. La sua squadra sapeva benissimo chi era. Anche il caporale, indiano. Mi spiega infatti, che il caporale è necessariamente indiano perché è reclutatore, traduttore e mediatore nello stesso tempo. L’unico a non conoscere la sua identità era il padrone italiano. Ti mettevi anche il turbante? No, mi spiega, non tutti lo portano. Si vestiva come un bracciante e la sera tornava a casa a scaricare dati e notizie per il suo lavoro.

Passando giornate intere insieme e avendo stabilito un ottimo rapporto con tutti, qualcuno cominciò a raccontargli anche di traffici umani. Aveva già intuito dai tanti discorsi fatti che c’era un’organizzazione e una tratta dietro a tutto. Il trafficante una sera si era tradito e aveva raccontato della sua attività. Per loro, spiega Marco, è una cosa naturale. Iniziano con l’aiutare i parenti a fuggire dal Punjab e poi lo fanno con tutti.

Comunque, il trafficante sarebbe dovuto tornare in India per sposarsi e sapendo che Omizzolo avrebbe scritto un libro sui Sikh accettò di portarlo con sé. I primi tre mesi hanno vissuto gomito a gomito, tanto che non solo partecipò al suo matrimonio combinato, ma fu presente anche alle trattative con la famiglia della sposa. E anche agli accordi fatti con chi desiderava andar via. Una cosa del tutto semplice per loro. Da un punto di vista sociologico, mi spiega, sia il caporale che il trafficante ignorano di essere dei criminali. Nella loro mente esiste solo il concetto di aiuto.

Aiutare i parenti e anche altri a farsi una nuova vita. Aiutare chi lo desidera ad andar via da lì. Sono tanti a desiderarlo. Soprattutto nei villaggi più poveri. In molti vogliono venire in Italia per lavorare nei campi del padrone-reclutatore. E tutto questo è possibile solo se dietro c’è lui, il proprietario di azienda che cerca manodopera. Il padrone-reclutatore. Senza di lui non sarebbero possibili i permessi, i contratti di lavoro, etc. Questo ha però un costo per chi vuole partire. Al trafficante bisogna pagare dai 15 ai 20 mila euro, somma che poi lui divide con altri “collaboratori” che deve convincere.

E da ieri sappiamo anche chi sono queste figure. Insomma lui lì vende un pacchetto, che include il biglietto, l’alloggio, il permesso di soggiorno, il lavoro e altro. Chi non ce li ha, contrae un debito che pagherà una volta in Italia con i primi salari ricevuti. Questo sistema, come denuncia da anni la cooperativa In Migrazione, rende particolarmente difficile per i lavoratori poi denunciare le condizioni di sfruttamento. Omizzolo, che fa parte anche lui di In Migrazione, denuncia da tempo gli abusi a danno dei Sikh: denunce che negli anni gli sono costate minacce e intimidazioniMa lui non si lascia intimorire e continua a portare avanti il suo lavoro. Ed eccolo il risultato finale, con l’arresto di sindacalisti, funzionari pubblici e padroncini.

Qualche mese fa Omizzolo è stato premiato. Gli è stata conferita dal presidente Mattarella l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italianaSu Facebook, nel ringraziare i tantissimi amici che si erano congratulati con lui, ha scritto che è il popolo Sikh a meritarsi questa onorificenza: “E soprattutto meritano quella giustizia che da anni viene loro negata per bramosia di potere e di denaro. Infine, devo ringraziare la mia famiglia che non ha mai ceduto ad alcuna minaccia e mai mi ha chiesto di fare passi indietro. In particolare ringrazio mio padre, che ora sta vivendo una fase molto difficile, perché mi ha insegnato a essere uomo prima di tutto e a stare dalla parte giusta e mai da quella più conveniente. Grazie a chi c’è stato con onestà, gratuità e generosità. E grazie a chi mi ha amato nonostante tutto. Ora, la battaglia contro ogni forma di razzismo, discriminazione, sfruttamento e mafia continua”.

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